Presentazione del volume
Il periodo storico che vede lo sviluppo della polifonia classica e della musica strumentale sacra, soprattutto organistica, è privo di una tradizione di studi radicata circa la prassi esecutiva del canto fermo. Risulta quindi assai problematica la conoscenza in radice del linguaggio strumentale e vocale sacro senza una parallela e adeguata conoscenza degli elementi teorico-esecutivi e significati socialmente condivisi del modello sul quale tali repertori sono stati elaborati e in vista del quale predisposti.
Si profila pertanto una ipotesi di lavoro: considerare i processi compositivi legati alla produzione strumentale e vocale sacra come efficaci mezzi di evocazione della cantilena di canto fermo, la quale agisce come radice profonda che presiede al fluire musicale, non solo quando è elemento plasticamente riconoscibile (il cantus firmus), ma anche tramite il richiamo agli elementi strutturali che ne tracciano la struttura profonda. Su questa ipotesi di partenza si è voluto impostare un lavoro di ricerca, i cui primi risultati vengono oggi pubblicati con l’uscita del volume Manuale di canto fermo. Modelli e consuetudini nella prassi didattica tra XVI e XVIII secolo, per la casa editrice LIM.
Si è ritenuto in prima istanza che una puntuale ricognizione sulle fonti didattico-normative dell’epoca in oggetto potesse favorire una formulazione attendibile della rete di significati sui quali il compositore costruiva la sua produzione, grazie alla naturale tendenza di tale tipologia di fonti a rivelare la fitta trama di elementi strutturali, melodici, modali ed esecutivi che la teoria e la didattica coeve proiettavano sul repertorio di canto fermo in uso nella liturgia tridentina.
Un aspetto non marginale del vuoto conoscitivo lamentato in apertura riguarda il fatto che la manualistica oggi in uso e le moderne edizioni di canto gregoriano non sono in grado di inquadrare in modo adeguato l’idea di canto liturgico nei termini sopra citati. Il canto gregoriano odierno è infatti frutto dell’opera di una restaurazione gregoriana che a partire dal centro cultuale di Solesmes e dal suo capostipite Prosper Guérnager, investe tutti gli studi recenti, almeno a partire dalla metà del secolo xix. Secondo le linee guida espresse dal monaco francese, la rinascita del Cattolicesimo europeo avrebbe dovuto basarsi su un’idea di società medievale eletta a ‘modello’ di rifermento. La forte spinta ideale di un simile progetto investì inevitabilmente gli albori del movimento liturgico, favorendo dunque l’elezione di tale modello anche per quanto concerne il canto liturgico. Ne è testimone la netta prevalenza nei periodici del tempo dei temi legati alla tradizione medievale del canto gregoriano e i richiami a un ‘presunto’ modello di prassi esecutiva che raramente prende in esame l’esecuzione del canto sacro nei secoli successivi al medioevo, se non in tono dispregiativo.
I criteri di fondo della riforma solesmense si basavano dunque su un ‘adeguamento’ della teoria, della modalità e della prassi esecutiva a un modello supposto, di matrice medievale e sul superamento in tale prospettiva delle edizioni del Graduale Romano frutto del concilio tridentino. La nascita della paleografia musicale ha inoltre favorito il primato del testo e del ritmo oratorio come criterio ordinatore della pulsazione ritmica. Il risultato fu inevitabilmente lo scardinamento, dopo secoli di tradizione ininterrotta, dell’idea stessa di canto sacro come canto fermo, basato essenzialmente sull’uniformità dei valori.
L’opera di restituzione melodica basata sul confronto dei manoscritti medievali ha inoltre permesso l’edizione di una nuova versione melodica e ritmica del repertorio di cui è testimone il Liber Usualis — e le successive edizioni di libri di canto — che però presenta un modello certamente non più corrispondente a quanto avevano ascoltato uomini e compositori dal Seicento all’Ottocento inoltrato.
Si profila così una sorta di dicotomia tra la prassi del canto sacro come è testimoniata da una quantità di fonti prodotte dal xvi secolo fino alla metà del xix, che chiameremo propriamente canto fermo e la prassi attualmente in uso e insegnata nelle scuole odierne, frutto dell’ipotesi interpretativa avanzata dal movimento solesmense e oggi acquisita e radicata in modo tacito e aproblematico, che possiamo continuare a marcare con la comune espressione canto gregoriano.
Come hanno ascoltato e praticato il canto fermo i musicisti coevi di Palestrina, di Frescobaldi, di Monteverdi, etc? Quali erano i termini sonori patrimonio comune di esecutori, compositori e ascoltatori di quei secoli? Qual era il sostrato ideale, teologico e liturgico che alimentava l’esecuzione e la composizione? Qual era la teoria musicale di rifermento e quali i caratteri del sistema modale? Questo lavoro è in definitiva un primo tentativo di dare risposta a tali domande e fornire così una possibile ri-costruzione di un modello effettivamente praticato e tramandato in modo pressoché intatto fino a buona parte del xix secolo.
Una ricognizione sugli studi fino ad oggi pubblicati in Italia circa la teoria e la prassi del canto fermo, pur se riconducibili nell’alveo di una certa rivalutazione sul piano sia storico che religioso del Concilio di Trento, sono ascrivibili al notevole impulso proveniente dalla catalogazione e studio sistematico dell’ingente materiale librario e documentale raccolto nel secolo scorso dal sacerdote e musicologo tedesco Laurence K. J. Feinenger (1909-1976). Tuttavia, dopo i primi studi intrapresi da Antonio Lovato [1995], Cesarino Ruini [1995] e Marco Gozzi [2015], l’interesse per questa prospettiva di studio non sembra aver attirato la curiosità dei ricercatori. In ogni caso gli studi citati, tutti fioriti nell’orbita del fondo Feininger [del sordo 2020], si sono concentrati sulla teoria e la prassi del canto fermo in un periodo temporale ristretto — dalla seconda metà del Cinquecento a tutto il Seicento — anche ai fini della risoluzione di problemi di prassi esecutiva del linguaggio musicale barocco. Non abbiamo dunque studi specifici che abbiano affrontato in modo complessivo il canto fermo — utilizzo l’accezione poc’anzi descritta — come prassi liturgica viva e permeante la vita musicale di un periodo ben più ampio, che va dal Concilio di Trento fino alle soglie del movimento solesmense (1830).
Su tali premesse si è ritenuto utile — come un primo passo verso un territorio inesplorato — studiare le fonti didattico-normative che furono impiegate come sostegno all’insegnamento del canto fermo in seminari e istituti religiosi, e che costituiscono la base della formazione del cantore ecclesiastico. Un corpus che fino ad oggi non ha trovato la necessaria attenzione, all’infuori di un recente e poderoso studio di Federico del Sordo relativo alla formazione del clero in Italia a partire dal Concilio di Trento [del sordo 2017]. Un corpus normativo che si è tramandato per secoli entro un’ampia area geografico-culturale in modo sostanzialmente inalterato e che ci consente oggi di focalizzare l’attenzione sulla prassi del canto liturgico evitando ogni riferimento alla teoria classica del canto gregoriano che, come abbiamo visto, è stata elaborata su un preteso modello che non è in grado di fornirci dati utili all’oggetto della nostra ricerca.
Per la redazione di questo volume è stato utilizzato uno stile discorsivo e una segmentazione degli argomenti largamente coincidente con quanto si legge nelle fonti. Si ritiene infatti che la definizione del modello di cui parliamo sia più efficace se assieme al modello stesso si ricalchi la metodologia narrativa originaria, che dunque viene considerata in questa sede come ‘fonte’ essa stessa ed elemento carico di un autonomo valore indicale. Il volume che ne è scaturito assume dunque la forma tipica del manuale dell’epoca, una scelta giustificata dalla volontà di sposare una prospettiva di studio che predilige la ‘visione del nativo’ — impostazione metodologica oggi definita dalle scienze sociali emic — rispetto ad una prospettiva ‘scientifica’ che colloca in primo piano nella narrazione la voce dello studioso, con le sue specificità, e la cultura d’appartenenza — impostazione definita etic.
Per una valutazione in termini generali del lavoro seguno il sommario e la bibliografia.
Sommario
Cap. 1. Canto Fermo e ordinamenti liturgici
1.1. Le fonti del diritto liturgico e libri di canto
1.2. Ordinamento dell’anno liturgico e specie dei giorni
1.3. Ordinamento dell’Ufficio (1.3.1. Ufficio doppio, semidoppio e semplice; 1.3.2. Ufficio nelle Domeniche, ferie, vigilie, ottave; 1.3.3. I canti dell’Ufficio9
1.4. Ordinamento delle ore canoniche (1.4.1. Mattutino; 1.4.2. Lodi; 1.4.3. Ora prima e ore minori; 1.4.4. Vespri; 1.4.5. Compieta)
1.5. Ordinamento della Messa (1.5.1. Ripartizione e specie di Messe; 1.5.2. Cerimoniale dalla Messa; 1.5.3. Canti della Messa, 27)
Cap. 2. Notazione e prassi esecutiva
2.1. Definizioni di Canto Fermo
2.2. Forme grafiche complementari
2.3. Figure
Cap 3. Teoria di base e solfeggio
3.1. La divisione del monocordo
3.2. Lettere e deduzioni
3.3. Rigo, chiavi e proprietà
3.4. Mutazioni
3.5. Ut re mi scadunt, fa sol la quoque descendunt
3.6. Ordine giacente del be quadro
3.7. Intervalli e specie
Cap. 4. Struttura dei modi ovvero tuoni
4.1. Definizione di tuono
4.2. La finalis
4.3. Struttura e numero dei tuoni
4.4. Tuoni perfetti e imperfetti
4.5. La repercussio
4.6. Morfologia e determinazione modale (4.6.1. Uso delle specie nella determinazione modale; 4.6.2. La corda media)
4.7. Cantilene per quinta e quarta
4.8. Della qualità dei tuoni
Cap.5. La mistione
5.1. La mistione perfetta
5.2. La mistione imperfetta (5.2.1. Mistione imperfetta con tuono perfetto; 5.2.2. Mistione imperfetta con tuono imperfetto)
Cap 6. La commistione
6.1. Commistione imperfetta maggiore
6.2. Commistione imperfetta minore
6.3. Commistione imperfetta mista
6.4. Commistione perfetta
Cap. 7. Toni della salmodia
7.1. Il tono salmodico in generale
7.2. Intuonatione per Salmi e Cantici
7.3. Intuonatione dei Cantici evangelici
7.4. Saeculorum
7.5. Toni per i versetti degli Introiti
Cap. 8. Tuoni irregolari
8.1. Tuoni irregolari per sola terminazione
8.2. Tuoni irregolari per terminazione e composizione
8.3. Il iv tuono per be quadro giacente
Cap. 9. Alterazioni accidentali
9.1. Il be molle accidentale
9.2. Il be quadro accidentale
9.3. Il diesis
9.4. Tritono e quinta falsa
Cap. 10. Temi di prassi esecutiva
10.1. Il concetto di unità come cifra del canto corale
10.2. La voce corale
10.3. Ufficio dell’organista
10.4. Ufficio dell’ebdomadario e dei cantori deputati alla cantoria
10.5. Ufficio del capocoro
Cap. 11. La composizione del Canto Fermo
11.1. Scelta del tuono d’impianto e profilo armonico
11.2. Cadenze intermedie
11.3. La composizione dell’intonazione
11.4. Stesura della cantilena
11.5. Processi particolari di ogni tuono
11.6. Composizione delle Antifone
11.7. Composizione degli Introiti
11.8. Regole specifiche di composizione (11.8.1. Graduali; 11.8.2. Tratti; 11.8.3. Alleluja; 11.8.4. Offertori e Postcommunio; 11.8.5. Canto dell’ordinario)
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